Post by ladyanne on Oct 3, 2006 16:49:23 GMT 1
La mia recensione entusiasta ;D
Londra, giorni nostri. Chris Wilton (un Jonathan Rhys-Meyers perfetto), giovane astro irlandese del tennis, ha deciso di smettere di giocare contro i grandi per convertirsi a insegnante in un club privato. Scelta sbagliata? O forse nasconde uno scopo? Forse sì, visto che Chris è bello, intelligente, ha una buona parlantina, modi gentili. E' figlio di un minatore in fuga dalla povertà, ma non lo sembra neanche. Come il "Bel-Ami" di Maupassant ha rinnegato le sue origini per cercare una via di uscita, un modo di farsi valere nella vita. Ama leggere (non a caso Dostojevskij), ascoltare l'opera, vedere le mostre d'arte, così facilmente riesce ad entrare nelle grazie del ricco e insipido Tom Hewett (Tom Goode). Viene presentato alla famiglia di Tom e fa innamorare di sé la ricca e insipida Chloe (Emily Mortimer). La seduce lentamente, senza che nessuno se ne accorga, compresi gli spettatori. Chris è un attore che nasconde le sue vere intenzioni dietro una maschera gentile e umile. Non è lui a chiedere alla fidanzata un lavoro nella ditta del padre (un ottimo Brian Cox, reduce da quell'obbrobrio di "Troy", dovedistruggeva interpretava Agamennone), ma lo ottiene lo stesso. Tutti lo amano: Chloe, Tom, i loro genitori. E' avviato al successo. Finché la sua palla da tennis non sbatte contro la rete, restando in bilico tra una parte e l'altra del campo, tra la vittoria e la sconfitta. Nella sua vita piomba Nola Rice (una brava Scarlett Johansson, penalizzata dal doppiaggio), fidanzata americana di Tom, aspirante attrice. Nella scena della cena al ristorante, il gioco di sguardi rende chiaro tutto: Nola e Chris non hanno nulla a che vedere con i bambolotti viziati che siedono loro accanto. Nola e Chris vengono dalla povertà, conoscono la tragicità della vita che non ha nemmeno sfiorato i loro fidanzati. Hanno dovuto lottare per tirare avanti, ma hanno scelto strade diverse per riuscire: Chris ha deciso di farsi 'integrare' dal sistema per sposare Chloe, Nola - un padre in fuga, una madre alcolizzata, una sorella drogata - non rinuncia al suo 'talento' e vuole far convivere il suo lavoro con la sua storia con Tom. Entrambi ammettono - in fondo - di non amare i loro fidanzati, ormai consci dell'attrazione che c'è tra loro e che si sfogherà un pomeriggio, sotto la pioggia, in un campo. Tutto sembra tornare alla normalità dopo: Chris sposa Chloe, ammalata di voglia di maternità, Nola viene 'epurata' dalla famiglia a favore di una fidanzata più all'altezza di Tom. Ma quando Nola torna nella vita di Chris, la situazione precipita...
Mi fermo qui con la trama per non svelare troppo, perché, in questo caso, non si può rivelare il finale. A Woody Allen ha fatto veramente bene 'fuggire' da New York per rifugiarsi a Londra: niente personaggio ebreo, niente battute dissacranti, niente jazz. "Match Point" è un noir della migliore specie, che si stacca dagli ultimi film (alcuni fiacchi) del regista per tornare agli anni '80, quando Allen ci regalò un altro gioiello: "Crimini e misfatti". E proprio a questo film non si può fare a meno di pensare: se in "Crimini e misfatti" si rifletteva sul tema del delitto, con o senza castigo, qui la visione è ancora più dura e angosciante. Dio è morto, solo il Caso guida le nostre vite. E Allen, così, ritorna in pace col suo nume tutelare che lo ha accompagnato agli inizi della carriera: Ingmar Bergman (vedere "Amore e Guerra" per cogliere le continue citazioni di "Il settimo sigillo"). Via New York e via il Jazz: benvenuta Europa e opera lirica. La comicità caustica lascia il posto all'humour nero; si sorride alle volte, ma con un peso sul cuore. E Allen esce da protagonista dei suoi film (effettivo o ispirato) per diventare demiurgo della storia. Si diverte a lasciarci indizi in giro su cui la nostra attenzione cade, pronto a truffarci e a farci capire che l'assassino non sempre è il maggiordomo.
Londra, giorni nostri. Chris Wilton (un Jonathan Rhys-Meyers perfetto), giovane astro irlandese del tennis, ha deciso di smettere di giocare contro i grandi per convertirsi a insegnante in un club privato. Scelta sbagliata? O forse nasconde uno scopo? Forse sì, visto che Chris è bello, intelligente, ha una buona parlantina, modi gentili. E' figlio di un minatore in fuga dalla povertà, ma non lo sembra neanche. Come il "Bel-Ami" di Maupassant ha rinnegato le sue origini per cercare una via di uscita, un modo di farsi valere nella vita. Ama leggere (non a caso Dostojevskij), ascoltare l'opera, vedere le mostre d'arte, così facilmente riesce ad entrare nelle grazie del ricco e insipido Tom Hewett (Tom Goode). Viene presentato alla famiglia di Tom e fa innamorare di sé la ricca e insipida Chloe (Emily Mortimer). La seduce lentamente, senza che nessuno se ne accorga, compresi gli spettatori. Chris è un attore che nasconde le sue vere intenzioni dietro una maschera gentile e umile. Non è lui a chiedere alla fidanzata un lavoro nella ditta del padre (un ottimo Brian Cox, reduce da quell'obbrobrio di "Troy", dove
Mi fermo qui con la trama per non svelare troppo, perché, in questo caso, non si può rivelare il finale. A Woody Allen ha fatto veramente bene 'fuggire' da New York per rifugiarsi a Londra: niente personaggio ebreo, niente battute dissacranti, niente jazz. "Match Point" è un noir della migliore specie, che si stacca dagli ultimi film (alcuni fiacchi) del regista per tornare agli anni '80, quando Allen ci regalò un altro gioiello: "Crimini e misfatti". E proprio a questo film non si può fare a meno di pensare: se in "Crimini e misfatti" si rifletteva sul tema del delitto, con o senza castigo, qui la visione è ancora più dura e angosciante. Dio è morto, solo il Caso guida le nostre vite. E Allen, così, ritorna in pace col suo nume tutelare che lo ha accompagnato agli inizi della carriera: Ingmar Bergman (vedere "Amore e Guerra" per cogliere le continue citazioni di "Il settimo sigillo"). Via New York e via il Jazz: benvenuta Europa e opera lirica. La comicità caustica lascia il posto all'humour nero; si sorride alle volte, ma con un peso sul cuore. E Allen esce da protagonista dei suoi film (effettivo o ispirato) per diventare demiurgo della storia. Si diverte a lasciarci indizi in giro su cui la nostra attenzione cade, pronto a truffarci e a farci capire che l'assassino non sempre è il maggiordomo.