Post by babyara on Oct 2, 2006 21:19:19 GMT 1
- Benvenuto – L’uomo fece una smorfia che, probabilmente, voleva essere un sorriso, e gli indicò la poltrona di fronte alla scrivania. – Prego, si accomodi –
- Grazie. –
- Qualcosa da bere? Ho dello scotch... –
- Va benissimo. Doppio, senza ghiaccio. – Una piccola pausa, – Grazie –
Come sempre, quando si trovava di fronte ad un cliente, parlava in modo calmo, studiato, senza la minima fretta. Aveva le mani incrociate in grembo, i gomiti appoggiati sui braccioli della poltrona e lo sguardo sull’altro uomo, in apparenza, osservandolo mentre versava il liquido ambrato in un pesante bicchiere di vetro.
In realtà stava ripercorrendo mentalmente le vie di fuga che aveva individuato entrando nell’edificio, enumerandole una per una. Non che ce ne fosse davvero bisogno, non prevedeva di doversene andare via di lì in fretta e furia, almeno non quella volta, ma era un giochino che faceva sempre. Deformazione professionale.
- A lei –
L’uomo, un tipo di mezz’età e più basso di lui di una buona spanna, gli posò il drink davanti, poi fece di nuovo per aprire bocca. All’ultimo momento però, sembrò cambiare idea, e si sedette al suo posto, dietro la scrivania. Rimasero a guardarsi forse per un intero minuto, studiandosi l’un l’altro, poi, quando fu palese che il suo ospite non avrebbe bevuto il suo scotch fino a quando non l’avesse deciso di sua spontanea volontà, l’uomo si schiarì la gola.
- Certo, sembra molto giovane per fare questo tipo di lavoro... –
- Lo so, – rispose lui, scrollando le spalle. Il sorriso che gli curvava appena gli angoli delle labbra indicava che era avvezzo a questo genere di osservazioni, - ed è per questo che lei si fiderebbe di me. Perché sembro giovane. –
- Che male può farmi un ragazzino, è questo che intende? –
- Precisamente. L’abitudine umana di giudicare dalle apparenze è molto utile, se si sa come sfruttarla. Tutti conoscono il vecchio adagio, l’apparenza inganna, ma quando è veramente importante, nei momento decisivi, tendono a dimenticarsene. – Sorrise. – Un bene per me –
- Ha ragione. Non avevo valutato la questione sotto questo punto di vista -
- E poi, se si è rivolto a me, vuol dire che sa come lavoro. – Infilò la sinistra in tasca e trattenne un sorriso quando vide il suo interlocutore sussultare e tendersi in maniera appena percettibile. – Il mio settore non è di quelli che compaiono sull’elenco. A me si arriva tramite canali....privati. – Dopo aver indugiato qualche istante in più del necessario, tirò fuori una scatoletta d’argento, ne fece scattare la chiusura e ne estrasse una sigaretta. – Qualcuno l’ha indirizzata a me. Mi ha... raccomandato, se così si può dire. Qualche cliente soddisfatto. Dico bene? –
- Sì. Sì, è così, signor... ? –
- No, niente nomi. Suona tanto da thriller di terz’ordine, ma funziona in questo modo. - Si sporse in avanti, permettendo all’altro di accendergli la sigaretta e poi tornò a sedersi con un sospiro soddisfatto. - Io non so chi è lei, lei non sa chi sono io e siamo tutti contenti. Se proprio ha bisogno di un nome, mi chiami... John. John va benissimo –
- Il più banale della storia degli Stati Uniti – gli fece notare l’altro, non senza una punta d’ironia nella voce.
- Ed è per questo che l’ho scelto. Se mai venisse a sapere il mio vero nome, le conseguenze sarebbero spiacevoli per entrambi. Intendo dire... – si interruppe per qualche istante, il tempo necessario per rilasciare il fumo, poi riprese, – intendo dire, sarebbe spiacevole anche per me doverla uccidere. E’ sempre controproducente ammazzare un cliente. Non fa bene agli affari. –
- Mi sta... mi sta minacciando, per caso? –
- No. Quando minaccio qualcuno, lo faccio in ben altro modo. La sto solo informando delle regole del gioco. –
- Io sono quello che la paga... –
- E io sono quello che fa il lavoro. – Tirò un’altra boccata, fece cadere la cenere in un grosso posacenere di cristallo, poi, finalmente, prese il bicchiere in mano. Lo inclinò verso di sé, rimanendo per qualche secondo a contemplare la propria immagine riflessa nel liquore. – Se non le sta bene, può sempre rivolgersi a qualcun altro. –
L’uomo parve ponderare l’alternativa, poi scosse la testa. – No. Mi serve qualcuno discreto ed affidabile, e lei mi è stato caldamente raccomandato da... – s’interruppe, sorridendo nervosamente – ...niente nomi, nemmeno in questo caso, giusto? –
- Esatto. Vede, non è poi così difficile, basta entrare nell’ordine di idee. -
- Già –
Nella stanza scese il silenzio, silenzio che lui non era disposto ad interrompere per primo. Non era lui quello che doveva parlare, era lì principalmente in veste di ascoltatore. Sorridendo tra sé diede un’altra occhiata allo scotch, ancora intatto. Lo aveva posato di nuovo sulla scrivania, senza berlo. In compenso, la sigaretta era quasi alla fine. Poco male, pensò, ne aveva dietro una buona scorta.
- Ecco qui –
L’uomo aveva tirato fuori una fotografia dalle pagine dell’agenda che aveva davanti, e l’aveva spinta verso di lui – Questa è la persona che mi ha creato dei... fastidi -
- Capisco. – La foto, un’istantanea leggermente sfocata, ritraeva un uomo nell’atto di sfilarsi un paio di occhiali da sole dalla testa. Non stava guardando verso l’obiettivo, ma era girato lo stesso verso di lui.Lo osservò per qualche momento, imprimendosene i lineamenti regolari nella memoria, poi annuì. – Avrò bisogno di conoscerne... –
- Questo non è un problema – intervenne l’altro, interrompendolo. Si piegò di lato ed estrasse un grosso fascicolo da un cassetto, che posò sul ripiano della scrivania, di fianco alla foto. – Qui ci sono tutte le informazioni che le possono servire. –
“Wow... ti deve proprio aver pestato i calli per bene…”
– Perfetto. –
- L’ho fatto preparare apposta per lei... perché, vede, è necessario che lei sappia tutto di quest’uomo. Tutto. Ogni singolo dettaglio. –
- Vuole che impari a memoria la sua vita, per poi recitargliela prima di farlo fuori? – Una risatina ironica gli sfuggì dalle labbra. Schiacciò il mozzicone nel posacenere, poi prese il bicchiere e bevve un lungo sorso di scotch. Il liquore gli scivolò giù per gola, dandogli una piacevole sensazione di calore. Questi erano i piccoli peccati in cui gli piaceva indulgere. Al momento giusto, un buon liquore gli dava più soddisfazione di un assegno a cinque zeri.
Furono le parole del suo interlocutore a farglielo andare quasi per traverso.
- Non voglio che gliela reciti. Voglio che lei intrecci una relazione con quest’uomo. –
Ci su un lungo momento di silenzio. Poi, inaspettatamente, scoppiò a ridere.
- Lei è molto stupido. Oppure ha molto coraggio, delle due una – Si passò una mano tra i capelli, sollevando al contempo lo sguardo sul soffitto. Cazzo, era solo... troppo... divertente.
– Mi fa venire qui per propormi... oh, Signore, non riesco a credere di aver davvero sentito una cosa del genere. –
- Ci creda, invece, – la voce dell’uomo era fredda, ora – perché è esattamente ciò che voglio che lei faccia. Che abbia una relazione con l’uomo della foto. –
- Forse non ci siamo capiti. – Si sporse in avanti, il bicchiere ancora tra le mani. La luce divertita era sparita dai suoi occhi, rimpiazzata da un’altra, ben più fredda. - Io ammazzo la gente per lavoro, non me la scopo. Per quello, deve rivolgersi a qualcun altro. –
- Lo ammazzerà. Alla fine. La pagherò bene. –
- C’è altra gente disposta a pagarmi bene, e non ha questo tipo di pretese. – Posò il bicchiere sul ripiano di radica della scrivania e fece per alzarsi. - Ora, se non le dispiace... –
- Cinquecentomila dollari. Come anticipo. –
“Cosa?”
Incredulo, rimase paralizzato per un attimo, poi tornò a sedersi, un sopracciglio sollevato. - E come saldo? –
- Altrettanti. Una volta finito il lavoro. – Il suo ospite si strinse nelle spalle, come per indicare che il denaro costituiva la parte minore del problema. - Mi dica lei su quale banca preferisce che glieli versi, oppure se vuole i soldi l’uno sull’altro. –
- Stiamo parlando... di un milione di dollari per far fuori una persona. Non le sembra un attimino... eccessivo? –
- Pur di vedere quell’uomo morto, sarei disposto a spendere il doppio –
- Questo significa che posso alzare il tiro? – La smorfia dipinta sul suo viso indicava chiaramente che stava valutando quanto la proposta fosse seria.
- Andiamo, non credo lei sia così avido... – obiettò l’uomo, unendo le mani sotto il mento. In attesa.
- Ha ragione. – Fece di nuovo scivolare una mano in tasca, alla ricerca delle sigarette. – Non lo sono. –
- E’ un professionista. Vuol dire che ho fatto la scelta giusta. – Il suo interlocutore girò la testa da un lato. Sapevano entrambi chi l’aveva spuntata. – Allora, ha cambiato idea? – chiese in tono retorico.
– Può darsi. – Sorrise.
*****
Le luci del locale erano soffuse, una dolce e malinconica musica di sottofondo si mescolava alle chiacchierate degli avventori.
Lui avanzava con passo sicuro in mezzo ai tavoli, ricambiando, a volte, il saluto di qualche persona, uomo o donna che fosse, solo comparse nella sua vita. Amava farsi ammirare. Tutto in lui era predisposto per essere guardato, osservato e amato, questo era il suo segreto, il suo fascino, la sua arma, da sempre, fin da bambino, quando nessuno poteva mai negargli qualcosa.
Quando giunse al suo tavolo, il solito, da sempre, un uomo era già seduto ad aspettarlo. Essere in ritardo faceva, spesso, parte del suo fascino.
- Buona sera. – disse l’uomo.
- Buona sera a te. – rispose lui sedendosi di fronte.
Poi, fragorosa e spontanea, una risata a riscaldare l’ambiente.
Era sempre così tra di loro, quel gioco dai tempi della scuola, la freddezza iniziale, e poi, subito l’ilarità di sempre, anche quando era molto che non si vedevano, proprio come quella sera.
- Finalmente riesci a trovare cinque minuti per un vecchio amico. – iniziò l’uomo.
- Per te anche dieci, lo sai. – rispose lui ammiccando.
- Sei sempre il solito, non cambi mai… -
- Perché? Dovrei forse? –
- No, assolutamente. – rispose l’uomo.
Per nessuna ragione al mondo avrebbe cambiato la sua vita, l’amava così com’era. Ogni volta un nuovo inizio, ogni volta sempre uguale a quella precedente, ma proprio per questo, perfetta.
Un cameriere arrivò portando una bottiglia di champagne, ne versò un po’ nei bicchieri dei due uomini, poi se ne andò rispettando la loro privacy.
- A cosa brindiamo? –
- A me, logico. – rispose lui sorridendo.
L’altro si sporse sul tavolo per non farsi sentire. - Sicuro di non voler brindare al giorno in cui ti sbatteranno in galera? –
Di nuovo una risata, fresca, spontanea. - E perché dovrebbero mettermi in galera, sentiamo… -
- Lo sai perché, avanti. –
Con molta grazia lui prese il bicchiere sorseggiando lo champagne, la sua espressione era improvvisamente cambiata. Sapeva che l’uomo, il suo più caro amico, era contrario alla sua vita. O forse, sarebbe stato meglio dire, al suo modo di vivere.
- Non mi sbatteranno in galera… - rispose convinto.
- Ho perso il conto delle volte che l’hai fatta franca, quanto pensi che possa durare ancora? –
- Per sempre… - lui ne era convinto.
L’uomo no, per niente. Infatti scosse il capo sconsolato. - Prima o poi ti denunceranno. –
- Lo hanno già fatto… ma sono ancora qui, con te, in un locale famoso a sorseggiare champagne… -
- Ti incastreranno prima o poi. –
- Me la stai cacciando? – chiese lui aggrottando un sopracciglio.
- No, certo che no. – sbuffò l’uomo.
Lui si mosse sulla sedia, segno di un leggero disagio. L’uomo era il simbolo vivente della sua coscienza, se ancora una ne aveva una, e di questo non ne era certo.
- Tu mi conosci meglio di chiunque altro, lo sai perché lo faccio. –
- Sì, ti senti Robin Hood vero? –
- No, io non rubo ai ricchi per dare ai poveri. –
- Vero, tu rubi ai ricchi per dare a te stesso. –
- Esatto. – disse lui alzando il bicchiere e annuendo con il capo.
Non sapeva nemmeno lui perché aveva iniziato, ma era una storia, la sua, già sentita mille volte. Era nato povero in una cittadina di provincia, l’unica cosa che la vita gli aveva regalato era la bellezza, e lui sapeva come sfruttarla.
- In fin dei conti, - continuò dopo aver acceso una sigaretta – non è colpa mia se le donne cadono ai miei piedi. –
- E non è nemmeno colpa tua se versano tutti i loro soldi sui tuoi conti sparsi per il mondo… -
- Beh, quello forse è un po’ colpa mia. –
L’uomo scrollò il capo. Tutte le volte era la solita storia, ed una volta di più si chiese perché gli stava facendo lo stesso discorso, lui era fatto così, niente e nessuno lo avrebbe potuto cambiare.
- Togli il forse. –
- Come preferisci. –
Lui aspirò il fumo dalla sigaretta, gli occhi socchiusi ad osservare la gente attorno a loro. Gente ricca, in alcuni casi famosa. Era in locali come quelli che a lui piaceva avvicinare le sue prede.
Era quello il suo gioco, da sempre, vedeva una bella donna, ricca, la faceva innamorare di sé al punto che lei sarebbe stata pronta a fare qualsiasi cosa per lui. Poi riempiva loro le teste con le sue mille avventure in giro per il mondo, con le sue fabbriche, che, puntualmente, avevano sempre problemi economici. E lì iniziavano i versamenti… tutto, tutto quello che possedevano passava a lui.
E loro non se ne accorgevano, mai, fino alla fine. Fino all’addio… fino alle urla, sempre le solite, agli insulti, alle minacce, che puntualmente gli scivolavano addosso, come se niente fosse.
Questa era la sua rivincita sulla vita… non si sentiva originale, nessuno al mondo lo era per lui. Tanti uomini e tante donne usavano lo stesso trucco, e, se lo facevano, era perché sapevano quanto bene potesse rendere.
Che colpa ne aveva lui se le donne erano così stupide da perdersi in discorsi d’amore? Subito pronte ad innamorarsi senza sapere con chi avevano a che fare… donne, anche gli uomini certo non scherzavano.
Lui non era razzista, per lui uomini e donne erano uguali, facevano poca differenza. Anzi, la maggior parte delle volte, erano uomini a cadere nella sua trappola, e questo l’uomo al suo tavolo lo sapeva bene, non perché lui avesse provato ad imbrogliarlo, ma perché, secoli prima, tra loro c’era stato qualcosa di più di una semplice amicizia.
- Dì un po’, hai letto il giornale ultimamente? –
La voce dell’amico lo riportò alla realtà.
- No, perché? –
- Lo so che non sei l’unico a fare questo lavoro… - se lui notò l’ironia dell’uomo non lo diede a vedere – ma il fatto che il credulone di turno fosse un ragazzo mi fa pensare che sia stata opera tua. –
- Diciamo che ultimamente ho avuto a che fare con un attraente giovanotto, sì. Ma dove vuoi arrivare? –
- E’ morto. Suicidio. – rispose l’uomo.
Il gelo… il freddo… un nodo allo stomaco.
Lui nella sua vita aveva fatto molte cose, sbagliate le più, ma mai prima di allora si era trovato di fronte ad un gesto simile, mai nessuno era morto per colpa sua.
C’è sempre la volta che ti cambia la vita… quella che fa crollare tutte le tue certezze, tutti i castelli di sabbia che hai costruito, ed ora, in una serata apparentemente come tutte le altre, quella volta era arrivata anche per lui.
Continua…
- Grazie. –
- Qualcosa da bere? Ho dello scotch... –
- Va benissimo. Doppio, senza ghiaccio. – Una piccola pausa, – Grazie –
Come sempre, quando si trovava di fronte ad un cliente, parlava in modo calmo, studiato, senza la minima fretta. Aveva le mani incrociate in grembo, i gomiti appoggiati sui braccioli della poltrona e lo sguardo sull’altro uomo, in apparenza, osservandolo mentre versava il liquido ambrato in un pesante bicchiere di vetro.
In realtà stava ripercorrendo mentalmente le vie di fuga che aveva individuato entrando nell’edificio, enumerandole una per una. Non che ce ne fosse davvero bisogno, non prevedeva di doversene andare via di lì in fretta e furia, almeno non quella volta, ma era un giochino che faceva sempre. Deformazione professionale.
- A lei –
L’uomo, un tipo di mezz’età e più basso di lui di una buona spanna, gli posò il drink davanti, poi fece di nuovo per aprire bocca. All’ultimo momento però, sembrò cambiare idea, e si sedette al suo posto, dietro la scrivania. Rimasero a guardarsi forse per un intero minuto, studiandosi l’un l’altro, poi, quando fu palese che il suo ospite non avrebbe bevuto il suo scotch fino a quando non l’avesse deciso di sua spontanea volontà, l’uomo si schiarì la gola.
- Certo, sembra molto giovane per fare questo tipo di lavoro... –
- Lo so, – rispose lui, scrollando le spalle. Il sorriso che gli curvava appena gli angoli delle labbra indicava che era avvezzo a questo genere di osservazioni, - ed è per questo che lei si fiderebbe di me. Perché sembro giovane. –
- Che male può farmi un ragazzino, è questo che intende? –
- Precisamente. L’abitudine umana di giudicare dalle apparenze è molto utile, se si sa come sfruttarla. Tutti conoscono il vecchio adagio, l’apparenza inganna, ma quando è veramente importante, nei momento decisivi, tendono a dimenticarsene. – Sorrise. – Un bene per me –
- Ha ragione. Non avevo valutato la questione sotto questo punto di vista -
- E poi, se si è rivolto a me, vuol dire che sa come lavoro. – Infilò la sinistra in tasca e trattenne un sorriso quando vide il suo interlocutore sussultare e tendersi in maniera appena percettibile. – Il mio settore non è di quelli che compaiono sull’elenco. A me si arriva tramite canali....privati. – Dopo aver indugiato qualche istante in più del necessario, tirò fuori una scatoletta d’argento, ne fece scattare la chiusura e ne estrasse una sigaretta. – Qualcuno l’ha indirizzata a me. Mi ha... raccomandato, se così si può dire. Qualche cliente soddisfatto. Dico bene? –
- Sì. Sì, è così, signor... ? –
- No, niente nomi. Suona tanto da thriller di terz’ordine, ma funziona in questo modo. - Si sporse in avanti, permettendo all’altro di accendergli la sigaretta e poi tornò a sedersi con un sospiro soddisfatto. - Io non so chi è lei, lei non sa chi sono io e siamo tutti contenti. Se proprio ha bisogno di un nome, mi chiami... John. John va benissimo –
- Il più banale della storia degli Stati Uniti – gli fece notare l’altro, non senza una punta d’ironia nella voce.
- Ed è per questo che l’ho scelto. Se mai venisse a sapere il mio vero nome, le conseguenze sarebbero spiacevoli per entrambi. Intendo dire... – si interruppe per qualche istante, il tempo necessario per rilasciare il fumo, poi riprese, – intendo dire, sarebbe spiacevole anche per me doverla uccidere. E’ sempre controproducente ammazzare un cliente. Non fa bene agli affari. –
- Mi sta... mi sta minacciando, per caso? –
- No. Quando minaccio qualcuno, lo faccio in ben altro modo. La sto solo informando delle regole del gioco. –
- Io sono quello che la paga... –
- E io sono quello che fa il lavoro. – Tirò un’altra boccata, fece cadere la cenere in un grosso posacenere di cristallo, poi, finalmente, prese il bicchiere in mano. Lo inclinò verso di sé, rimanendo per qualche secondo a contemplare la propria immagine riflessa nel liquore. – Se non le sta bene, può sempre rivolgersi a qualcun altro. –
L’uomo parve ponderare l’alternativa, poi scosse la testa. – No. Mi serve qualcuno discreto ed affidabile, e lei mi è stato caldamente raccomandato da... – s’interruppe, sorridendo nervosamente – ...niente nomi, nemmeno in questo caso, giusto? –
- Esatto. Vede, non è poi così difficile, basta entrare nell’ordine di idee. -
- Già –
Nella stanza scese il silenzio, silenzio che lui non era disposto ad interrompere per primo. Non era lui quello che doveva parlare, era lì principalmente in veste di ascoltatore. Sorridendo tra sé diede un’altra occhiata allo scotch, ancora intatto. Lo aveva posato di nuovo sulla scrivania, senza berlo. In compenso, la sigaretta era quasi alla fine. Poco male, pensò, ne aveva dietro una buona scorta.
- Ecco qui –
L’uomo aveva tirato fuori una fotografia dalle pagine dell’agenda che aveva davanti, e l’aveva spinta verso di lui – Questa è la persona che mi ha creato dei... fastidi -
- Capisco. – La foto, un’istantanea leggermente sfocata, ritraeva un uomo nell’atto di sfilarsi un paio di occhiali da sole dalla testa. Non stava guardando verso l’obiettivo, ma era girato lo stesso verso di lui.Lo osservò per qualche momento, imprimendosene i lineamenti regolari nella memoria, poi annuì. – Avrò bisogno di conoscerne... –
- Questo non è un problema – intervenne l’altro, interrompendolo. Si piegò di lato ed estrasse un grosso fascicolo da un cassetto, che posò sul ripiano della scrivania, di fianco alla foto. – Qui ci sono tutte le informazioni che le possono servire. –
“Wow... ti deve proprio aver pestato i calli per bene…”
– Perfetto. –
- L’ho fatto preparare apposta per lei... perché, vede, è necessario che lei sappia tutto di quest’uomo. Tutto. Ogni singolo dettaglio. –
- Vuole che impari a memoria la sua vita, per poi recitargliela prima di farlo fuori? – Una risatina ironica gli sfuggì dalle labbra. Schiacciò il mozzicone nel posacenere, poi prese il bicchiere e bevve un lungo sorso di scotch. Il liquore gli scivolò giù per gola, dandogli una piacevole sensazione di calore. Questi erano i piccoli peccati in cui gli piaceva indulgere. Al momento giusto, un buon liquore gli dava più soddisfazione di un assegno a cinque zeri.
Furono le parole del suo interlocutore a farglielo andare quasi per traverso.
- Non voglio che gliela reciti. Voglio che lei intrecci una relazione con quest’uomo. –
Ci su un lungo momento di silenzio. Poi, inaspettatamente, scoppiò a ridere.
- Lei è molto stupido. Oppure ha molto coraggio, delle due una – Si passò una mano tra i capelli, sollevando al contempo lo sguardo sul soffitto. Cazzo, era solo... troppo... divertente.
– Mi fa venire qui per propormi... oh, Signore, non riesco a credere di aver davvero sentito una cosa del genere. –
- Ci creda, invece, – la voce dell’uomo era fredda, ora – perché è esattamente ciò che voglio che lei faccia. Che abbia una relazione con l’uomo della foto. –
- Forse non ci siamo capiti. – Si sporse in avanti, il bicchiere ancora tra le mani. La luce divertita era sparita dai suoi occhi, rimpiazzata da un’altra, ben più fredda. - Io ammazzo la gente per lavoro, non me la scopo. Per quello, deve rivolgersi a qualcun altro. –
- Lo ammazzerà. Alla fine. La pagherò bene. –
- C’è altra gente disposta a pagarmi bene, e non ha questo tipo di pretese. – Posò il bicchiere sul ripiano di radica della scrivania e fece per alzarsi. - Ora, se non le dispiace... –
- Cinquecentomila dollari. Come anticipo. –
“Cosa?”
Incredulo, rimase paralizzato per un attimo, poi tornò a sedersi, un sopracciglio sollevato. - E come saldo? –
- Altrettanti. Una volta finito il lavoro. – Il suo ospite si strinse nelle spalle, come per indicare che il denaro costituiva la parte minore del problema. - Mi dica lei su quale banca preferisce che glieli versi, oppure se vuole i soldi l’uno sull’altro. –
- Stiamo parlando... di un milione di dollari per far fuori una persona. Non le sembra un attimino... eccessivo? –
- Pur di vedere quell’uomo morto, sarei disposto a spendere il doppio –
- Questo significa che posso alzare il tiro? – La smorfia dipinta sul suo viso indicava chiaramente che stava valutando quanto la proposta fosse seria.
- Andiamo, non credo lei sia così avido... – obiettò l’uomo, unendo le mani sotto il mento. In attesa.
- Ha ragione. – Fece di nuovo scivolare una mano in tasca, alla ricerca delle sigarette. – Non lo sono. –
- E’ un professionista. Vuol dire che ho fatto la scelta giusta. – Il suo interlocutore girò la testa da un lato. Sapevano entrambi chi l’aveva spuntata. – Allora, ha cambiato idea? – chiese in tono retorico.
– Può darsi. – Sorrise.
*****
Le luci del locale erano soffuse, una dolce e malinconica musica di sottofondo si mescolava alle chiacchierate degli avventori.
Lui avanzava con passo sicuro in mezzo ai tavoli, ricambiando, a volte, il saluto di qualche persona, uomo o donna che fosse, solo comparse nella sua vita. Amava farsi ammirare. Tutto in lui era predisposto per essere guardato, osservato e amato, questo era il suo segreto, il suo fascino, la sua arma, da sempre, fin da bambino, quando nessuno poteva mai negargli qualcosa.
Quando giunse al suo tavolo, il solito, da sempre, un uomo era già seduto ad aspettarlo. Essere in ritardo faceva, spesso, parte del suo fascino.
- Buona sera. – disse l’uomo.
- Buona sera a te. – rispose lui sedendosi di fronte.
Poi, fragorosa e spontanea, una risata a riscaldare l’ambiente.
Era sempre così tra di loro, quel gioco dai tempi della scuola, la freddezza iniziale, e poi, subito l’ilarità di sempre, anche quando era molto che non si vedevano, proprio come quella sera.
- Finalmente riesci a trovare cinque minuti per un vecchio amico. – iniziò l’uomo.
- Per te anche dieci, lo sai. – rispose lui ammiccando.
- Sei sempre il solito, non cambi mai… -
- Perché? Dovrei forse? –
- No, assolutamente. – rispose l’uomo.
Per nessuna ragione al mondo avrebbe cambiato la sua vita, l’amava così com’era. Ogni volta un nuovo inizio, ogni volta sempre uguale a quella precedente, ma proprio per questo, perfetta.
Un cameriere arrivò portando una bottiglia di champagne, ne versò un po’ nei bicchieri dei due uomini, poi se ne andò rispettando la loro privacy.
- A cosa brindiamo? –
- A me, logico. – rispose lui sorridendo.
L’altro si sporse sul tavolo per non farsi sentire. - Sicuro di non voler brindare al giorno in cui ti sbatteranno in galera? –
Di nuovo una risata, fresca, spontanea. - E perché dovrebbero mettermi in galera, sentiamo… -
- Lo sai perché, avanti. –
Con molta grazia lui prese il bicchiere sorseggiando lo champagne, la sua espressione era improvvisamente cambiata. Sapeva che l’uomo, il suo più caro amico, era contrario alla sua vita. O forse, sarebbe stato meglio dire, al suo modo di vivere.
- Non mi sbatteranno in galera… - rispose convinto.
- Ho perso il conto delle volte che l’hai fatta franca, quanto pensi che possa durare ancora? –
- Per sempre… - lui ne era convinto.
L’uomo no, per niente. Infatti scosse il capo sconsolato. - Prima o poi ti denunceranno. –
- Lo hanno già fatto… ma sono ancora qui, con te, in un locale famoso a sorseggiare champagne… -
- Ti incastreranno prima o poi. –
- Me la stai cacciando? – chiese lui aggrottando un sopracciglio.
- No, certo che no. – sbuffò l’uomo.
Lui si mosse sulla sedia, segno di un leggero disagio. L’uomo era il simbolo vivente della sua coscienza, se ancora una ne aveva una, e di questo non ne era certo.
- Tu mi conosci meglio di chiunque altro, lo sai perché lo faccio. –
- Sì, ti senti Robin Hood vero? –
- No, io non rubo ai ricchi per dare ai poveri. –
- Vero, tu rubi ai ricchi per dare a te stesso. –
- Esatto. – disse lui alzando il bicchiere e annuendo con il capo.
Non sapeva nemmeno lui perché aveva iniziato, ma era una storia, la sua, già sentita mille volte. Era nato povero in una cittadina di provincia, l’unica cosa che la vita gli aveva regalato era la bellezza, e lui sapeva come sfruttarla.
- In fin dei conti, - continuò dopo aver acceso una sigaretta – non è colpa mia se le donne cadono ai miei piedi. –
- E non è nemmeno colpa tua se versano tutti i loro soldi sui tuoi conti sparsi per il mondo… -
- Beh, quello forse è un po’ colpa mia. –
L’uomo scrollò il capo. Tutte le volte era la solita storia, ed una volta di più si chiese perché gli stava facendo lo stesso discorso, lui era fatto così, niente e nessuno lo avrebbe potuto cambiare.
- Togli il forse. –
- Come preferisci. –
Lui aspirò il fumo dalla sigaretta, gli occhi socchiusi ad osservare la gente attorno a loro. Gente ricca, in alcuni casi famosa. Era in locali come quelli che a lui piaceva avvicinare le sue prede.
Era quello il suo gioco, da sempre, vedeva una bella donna, ricca, la faceva innamorare di sé al punto che lei sarebbe stata pronta a fare qualsiasi cosa per lui. Poi riempiva loro le teste con le sue mille avventure in giro per il mondo, con le sue fabbriche, che, puntualmente, avevano sempre problemi economici. E lì iniziavano i versamenti… tutto, tutto quello che possedevano passava a lui.
E loro non se ne accorgevano, mai, fino alla fine. Fino all’addio… fino alle urla, sempre le solite, agli insulti, alle minacce, che puntualmente gli scivolavano addosso, come se niente fosse.
Questa era la sua rivincita sulla vita… non si sentiva originale, nessuno al mondo lo era per lui. Tanti uomini e tante donne usavano lo stesso trucco, e, se lo facevano, era perché sapevano quanto bene potesse rendere.
Che colpa ne aveva lui se le donne erano così stupide da perdersi in discorsi d’amore? Subito pronte ad innamorarsi senza sapere con chi avevano a che fare… donne, anche gli uomini certo non scherzavano.
Lui non era razzista, per lui uomini e donne erano uguali, facevano poca differenza. Anzi, la maggior parte delle volte, erano uomini a cadere nella sua trappola, e questo l’uomo al suo tavolo lo sapeva bene, non perché lui avesse provato ad imbrogliarlo, ma perché, secoli prima, tra loro c’era stato qualcosa di più di una semplice amicizia.
- Dì un po’, hai letto il giornale ultimamente? –
La voce dell’amico lo riportò alla realtà.
- No, perché? –
- Lo so che non sei l’unico a fare questo lavoro… - se lui notò l’ironia dell’uomo non lo diede a vedere – ma il fatto che il credulone di turno fosse un ragazzo mi fa pensare che sia stata opera tua. –
- Diciamo che ultimamente ho avuto a che fare con un attraente giovanotto, sì. Ma dove vuoi arrivare? –
- E’ morto. Suicidio. – rispose l’uomo.
Il gelo… il freddo… un nodo allo stomaco.
Lui nella sua vita aveva fatto molte cose, sbagliate le più, ma mai prima di allora si era trovato di fronte ad un gesto simile, mai nessuno era morto per colpa sua.
C’è sempre la volta che ti cambia la vita… quella che fa crollare tutte le tue certezze, tutti i castelli di sabbia che hai costruito, ed ora, in una serata apparentemente come tutte le altre, quella volta era arrivata anche per lui.
Continua…